Il Limone

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Il Tocco per l'Armonia e la Salute

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Il Limone

benessere e salute
Il mondo delle forze formatrici dell’Asia meridionale e orientale ha generato il limone, l’arancio, il mandarino e i loro parenti. Le foreste che coprono il versante Sud delle grandi catene di montagne asiatiche, in direzione dell’India e della Cina, ospitano ancora al presente la forma selvaggia originale del limone, un albero resistente, dal legno duro, fortemente spinoso.

Da un lato, questo mondo di forze aspira potentemente le forze terrestri, le fa salire, le gonfia di un elemento acquoso vitalizzato, di rigoglio tropicale. Dall’altro lato, esso capta intensamente le forze cosmiche della luce e del calore, e le rende terrestri. I processi terrestri sono spinti verso una crescita centrifuga. I processi cosmici sono altresí assorbiti fin nelle foglie, in cui compaiono tendenze volatili, aromi forti e pesanti; anche le foglie, le cortecce, il legno e i frutti ne ricevono sostanze speziate.

Il limone si colloca in questo gioco di forze che lo dota di una straordinaria fecondità: un solo alberello può produrre fino a duecento frutti in un anno. Tuttavia esso domina e padroneggia questa ricchezza. È profondamente radicato, largamente ramificato, ornato di foglie persistenti.

 

Il suo processo florale è energico: i fiori, di un bianco rosato, in gran numero, lo avviluppano in una nuvola di profumi soavi, leggeri, a volte inebrianti, che parlano di un organismo eterico intensamente penetrato dalla sfera astrale periferica. Persino le foglie emettono delle sostanze odorifere, che sono però piú attutite, meno pronunciate; i fiori spingono questo processo centrifugo all’estremo, per cui profumano tutto il paesaggio.

La formazione del frutto segue in ogni caso, senza tardare, questa orgia di profumi.

Il succo del limone schizzerebbe fuori se non venisse rinchiuso in una buccia solida; vi si forma poco zucchero, e il frutto conserva l’acidità che caratterizza normalmente i frutti non maturi. L’acido non viene ‘bruciato’ come accade di solito, ma è conservato a uno stadio immaturo. L’acido citrico è il piú intenso di tutto il regno vegetale, e si forma associato all’acido ascorbico (vitamina C). Nella buccia del frutto il processo aromatico cambia ancora una volta, non è piú soave e inebriante come nel fiore, né attutito e incerto come nella foglia, ma rinfrescante, riconfortante, e rende l’uomo piú cosciente.

Si tratta dunque di un frutto costituito in un modo del tutto specifico, particolare del limone.

 

A metà strada tra le bacche succose (predominanza dell’acquoso) e le capsule secche, legnose (rarefazione ed eliminazione del liquido), il limone si liquefa alla maniera di una bacca, ma si circonda di un involucro coriaceo lavorato dalle forze dell’aria e del calore.

Nel taglio trasversale di un limone si possono distinguere quattro zone. Esse manifestano le quattro modalità del corpo eterico vegetale in un modo del tutto singolare.

L’involucro esterno, giallo, manifesta l’etere del calore attraverso i suoi oli eterici (essenze) nati dal calorico, volatili e combustibili; dall’etere di luce, attraverso i caroteni, derivano i suoi colori gialli; i caroteni, nella dinamica dell’assimilazione vegetale, sono gli strumenti di assorbimento della luce, come servitori dell’etere luminoso. Negli organismi animali e umani, essi si trasformano in vitamina A, una sostanza che preserva dai processi di essicazione mortale tutti gli organi della pianta a partire dal cotiledone, che si ritrova nel retinale viola dell’occhio.

Inoltre, questi caroteni sono apparentati con il citrale, sostanza che reca i princípi aromatici della buccia del limone. Nel citrale si può dire che la luce diventa profumo!
Lo strato seguente sul nostro taglio trasversale è bianco, spugnoso, aereo, contiene della pectina, degli amari, ed esprime senza equivoco l’elemento aereo.

 

La zona molto piú estesa, quella dei tessuti succosi, rigidamente contenuta dalle due precedenti, si consacra essa stessa all’elemento acquoso e alle forze chimiche viventi che vi si attivano, generando nel succo diversi acidi vegetali, la vitamina C, diversi zuccheri, gomme, mucillagini e sostanze minerali; tra queste, che sono ‘allevate’ nella sfera della vita, nominiamo il potassio, il calcio, un po’ di acido silicico e una traccia di boro. Il boro è costantemente presente nei frutti zuccherini e in altri organismi vegetali contenenti glucosio, persino nel nettare dei fiori; esso è legato ai processi centrifughi che governano lo zucchero, a partire dalle foglie, fino ai fiori e ai frutti.

La quarta sezione del frutto occupa il centro del nostro taglio trasversale. Si tratta dei semi, che fanno parte del solido e sono regolati dall’etere di vita. I semi sono numerosi, molto vitali, germinano facilmente e sono circondati da uno strato di mucillagine amara. Questa mucillagine possiede notevoli poteri antibatterici.

 

Esaminiamo ancora rapidamente il succo di limone, che contiene dal 7 al 7,5% circa di acido citrico, lo 0,5% di acido malico, il 2,5% di zuccheri, lo 0,4% di pectina e di mucillagine, lo 0,2% dei minerali sopraindicati. Il contenuto di acido oscilla a seconda della stagione del raccolto, che si verifica durante un lungo periodo, per il fatto che l’albero fruttifica quasi tutto l’anno. L’acidità è massima nei frutti raccolti a novembre: è la stagione in cui la vita si affievolisce e si concentra in se stessa, le forze centrifughe vengono pertanto diminuite. Quando aumentano, in primavera, in collegamento con tutta la vita della terra, l’acidità si attenua. In tal modo la proprietà benefica, che è tipica del succo di limone, varia dall’esterno all’interno, pur restando del tutto legata al processo degli zuccheri (il ruolo del ciclo dell’acido citrico nel metabolismo umano è stato recentemente oggetto di ricerche). Questo sviluppo parte dai princípi aromatici e amari del gusto, per finire ai minerali – potassio e calcio – portati a livello di vita. Un tale divenire chimico rappresenta un anti-processo atto a combattere le tendenze centrifughe dei solventi del mondo tropicale.

L’azione del succo di limone, rinfrescante, vivificante, tonico, tende ad aggregare gli elementi costitutivi dell’uomo, rinforzando i tessuti del suo corpo. Ciò che nell’organismo umano tenderebbe a dilatarsi fino all’amorfo, viene domato e riportato al centro. Le tendenze sia decostruttrici che formanti, recate soprattutto dall’organismo superiore, sono allora fortificate contro le tendenze dell’organismo inferiore, vegetativo, in qualche modo tropicale ed effettivamente piú caldo. In tal modo si spiega razionalmente l’azione del succo di limone (preparato) nel raffreddore da fieno, indicazione che Rudolf Steiner è stato il primo a proporre. Ma il trattamento medico con il Citrus comprende anche i raffreddori, le affezioni reumatiche, l’idropisia, gli stadi pre-scorbutici che si presentano in primavera, in breve tutte le affezioni in cui l’organizzazione dei liquidi minaccia di scatenarsi senza legge, senza forma, e questo obbliga a ricorrere ai costituenti superiori. I quali dovrebbero sempre dominare, con le loro forze formanti, astringenti e centripete, le tendenze centrifughe dell’organismo.

Wilhelm Pelikan

Selezione da: W. Pelikan L’uomo e le piante medicinali

Da L’Archetipo – Novembre 2017

(https://www.larchetipo.com/2017/11/botanima/il-limone/)

Uomini e topi

Uomini e topi

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Uomini e topi

cronache da Babele
Apprendiamo dai media con sorpresa che Dorian Gray, da mito, ora è realtà.

In un laboratorio d’avanguardia californiano, l’Istituto Salk, usando i protocolli e gli algoritmi della piú avanzata biogenetica hanno ringiovanito alcuni topi.

Si realizza cosí l’antico sogno dell’uomo che vorrebbe conseguire, se non l’eternità, una decente e dignitosa condizione fisica, mentale, e all’occorrenza la figura di un soma non guastato dall’età ma fresco, sano, florido e avvenente come quello di un baldo adolescente.

Per l’intervento è stata necessaria l’ingegneria genetica, mirata ad attivare nelle cavie un gruppo di quattro geni ‒ questi già scoperti dal giapponese Yamanaka Shinya ‒ elementi capaci di invertire l’iter dello sviluppo cellulare, ritardandolo quasi di vent’anni.

Però cautela, voi che rosicate da mane a sera contro le ingiustizie dell’Ordine Mondiale, delle banche che giocano a monopoli coi soldi dei vostri sudatissimi risparmi, che cercate un lavoro e non l’avete se non cedendo a mille e piú ricatti, se di voi si fa carne da macello sotto le bombe o in aule fatiscenti di scuole che dispensano sapienza volta all’inganno, piú che alla saggezza.

Non esultate troppo se in America hanno ringiovanito i roditori, poiché c’è differenza tra il formaggio in piú che riusciranno a divorare vivendo un supplemento di esistenza e il coraggio richiesto all’homo sapiens nell’impresa che tende a realizzare, dopo errori e cadute, l’Uomo nuovo.

Altro che provoloni e gorgonzola, groviera, pecorino e parmigiano!

Se l’uomo non conquista la Parola vivere un po’ piú a lungo sarà vano.

Il cronista

http://www.larchetipo.com/tag/anno-22-n-02-febbraio-2017/

Giza: una macchina dell’acqua?

Giza: una macchina dell’acqua?

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Giza: una macchina dell'acqua?

riflessioni
Non sono i fiumi a dare l’acqua potabile. Per quanto grandi e possenti, se uno vi si abbevera rischia ogni tipo di infezione. Possono fornire solo energia motrice e abbellire i panorami. Dove, come a Parigi, si è voluto utilizzare quella della Senna per uso domestico, i costosi e complessi impianti di depurazione installati hanno fatto lievitare le bollette dei parigini in maniera esorbitante. E cosí è stato altrove quando si è voluto ricavare acqua potabile dai fiumi di grande portata. L’acqua da bere viene dalle sorgenti naturali, che pescano nelle viscere della terra, o dalla pioggia, la cosiddetta acqua meteorica, ossia del cielo, raccolta in pozzi, cisterne o piscine. Oppure la si va a prendere dai monti, che sono le naturali torri dell’acqua. Ma occorre averli, i monti, a portata di mano, anzi di brocca. I Romani antichi i monti li avevano a una ventina di chilometri a Est: i Simbruini e gli Albani. Per portare in città l’acqua piovana che le alture ricevevano dal cielo e lasciavano defluire, furono costruiti acquedotti maestosi e funzionali che tuttora resistono.

Ma gli Egizi, che pure nulla avevano da invidiare ai Romani in fatto di bravura edilizia e ingegneria idraulica, montagne a portata di anfora non ne avevano, e neppure colline di un certo rilievo. La loro capitale, Menfi, era assediata dal piatto, infinito deserto rovente e annegata nel delta fangoso del Nilo, che salvo il limo, fecondatore di zolle, acqua potabile non ne dava. I pozzi e le sorgenti facilmente si intorbidavano per le infiltrazioni di limo e sabbia. Acqua per irrigare e pulire, non per bere. Le alture piú vicine erano quelle dell’Haggar, del Sudan, del Sinai. Troppo lontane. A portata di mano c’era però una modesta altura, un rilievo calcareo, poco fuori città: l’altopiano di Giza, non alto abbastanza tuttavia per operare lo scambio delle masse nuvolose in pioggia da raccogliere e far defluire in vene o far sgorgare dalle sorgenti. Ecco allora il genio egizio all’opera: tre colline piramidali a quattro facce in blocchi di arenaria. Ma occorreva produrre il meccanismo di estrazione dell’acqua dalle nubi, che difficilmente si tramutavano in abbondanti piogge. L’acqua poteva invece essere ricavata dall’inversione termica tra il calore solare e l’umidità dell’aria notturna, satura di molecole d’acqua in sospensione. Bastava farle condensare, quelle molecole, con il calore della grande insolazione diurna, e quindi farle cadere, durante il rigore notturno, scivolando lungo le facce delle piramidi per essere raccolte nelle apposite vasche scavate ai loro piedi. C’era un problema: l’arenaria, tramontato il sole, si raffreddava rapidamente perdendo il suo potere di condensazione. Venne in aiuto dei costruttori la memoria della scienza degli antichi Atlantidi, dai quali essi discendevano: ricordarono come nel continente perduto le città brillassero per il rivestimento dei tetti con lastre di un metallo, l’oricalco, ottenuto con una lega di rame e oro. Il Sinai abbondava di miniere di rame purissimo, un metallo conduttore di calore.Ricostruzione Menfi Ne rivestirono le tre piramidi dell’altopiano di Giza, dedicate a tre faraoni della IV Dinastia: Cheope, Chefren e Micerino.

Eressero a guardia dei tre mau­solei la Sfinge, simbolo della forza che protegge il Mistero.

L’acqua che ogni notte scivolava giù dalle tre piramidi in ruscelletti di pura acqua siderea si raccoglieva ai piedi del grande leone dalla testa umana che i Francesi della spedizione napoleonica si divertirono a sfregiare a cannonate. Gli archeologi hanno individuato, dai residui cal­carei del grande bacino ai piedi di ogni piramide, i vari livelli cui era arrivata l’acqua nei vari periodi storici. Le lastre di metallo e il pyramidion, l’apice d’oro, furono asportati dai mamelucchi nel XII secolo.

Una teoria, certo, quella delle grandi piramidi destinate a macchine dell’acqua. Come quella che vede nel Castel del Monte, in Puglia, otto torri dell’acqua, che oltre a vincere la siccità della regione veniva usata per riti lustrali. Federico di Svevia, Stupor mundi, vagheggiante un Regno Universale degli uomini, nel frusciare di quell’acqua indagava la perfetta misura del creato.

Elideo Tolliani

http://www.larchetipo.com/tag/anno-22-n-02-febbraio-2017/

Dalla biochimica alla vita

Dalla biochimica alla vita

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Dalla biochimica alla vita

riflessioni

I pensieri, tutti i pensieri, se dinamizzati sono strumenti per accedere alla conoscenza. Non dinamizzati, diventano gabbie da cui è molto difficile liberarsi.

Quella che sto per raccontarvi è una storia iniziata quarant’anni fa. Praticavo a quel tempo la via del Pensare, avendo conosciuto alcuni anni prima Massimo Scaligero. Oltre alla concentrazione, mi applicavo alla lettura delle opere di Scienza dello Spirito.

Stavo dando i primi esami di Medicina e fra questi c’era quello di Biochimica. Seguivo con grande entusiasmo il percorso universitario.

Lo studio dell’Anatomia, che risulta noioso alla maggior parte degli studenti, era per me avvincente. Ritrovavo nelle strutture anatomiche l’impronta delle Forze Creatrici Universali, e cosí quello che poteva avvicinarsi allo studio di una guida telefonica per me era la possibilità di accedere ad un panorama straordinario.

Questo era possibile perché, grazie allo studio dei testi fondamentali di Steiner, ero arrivato ad intuire l’esistenza del Corpo Eterico, il Corpo delle Forze Formatrici.

Eccomi quindi ad affrontare la biochimica: avevo superato con grande soddisfazione l’esame di Chimica e quindi le mie basi erano molto solide per capire il funzionamento della chimica negli organismi viventi.

Questa biochimica riusciva a spiegare in maniera ineccepibile ogni fenomeno vivente.

Non c’era fenomeno vivente che non potesse esser ridotto ad una dinamica molecolare precisa, dimostrabile e ampiamente dimostrata.

Che ruolo potevano avere le mie intuizioni sulle forze formatrici, sull’eterico?

La mia visione della vita era quindi scissa: da una parte c’era il mondo eterico e la mia via interiore, e dall’altra la biochimica, il riduzionismo ed i miei studi accademici.

Passarono trent’anni (sembra strano ma si riesce a vivere lacerati per tutti questi anni) prima di incontrare il pensiero che poteva fare da ponte a queste due concezioni.

Il grande Albert Szent-Györgyi, uno dei padri della biochimica, oltre che premio Nobel, mi ha donato, attraverso uno dei suoi libri, questo pensiero: adesso che sappiamo quali sono le reazioni chimiche che avvengono nel vivente, dobbiamo risolvere il problema centrale della vita: “come fanno le molecole ad incontrarsi?”.

Già, questo è il problema centrale della vita, e quindi anche della biochimica, ma nessuno ve lo dice.

La scoperta del DNA, per quanto importante, non ci può avvicinare al mistero della Vita.

Il DNA è solo una molecola. Il processo della sintesi delle proteine, con la trascrizione del DNA in RNA e la traduzione nelle proteine, è solo la descrizione di un processo, ma nulla ci dice della forza che muove queste proteine:
forza che fa incontrare le molecole giuste nel momento giusto.

Normalmente le ragioni che portano alle reazioni chimiche nel vivente vengono spiegate con le leggi di diffusione, di moto browniano e di termodinamica.

Queste spiegazioni sono incompatibili con la velocità e la precisione con cui avvengono le reazioni chimiche nel vivente.

In genere offro questa immagine: Piazza Unità di Trieste può contenere quarantamila persone, immaginatevi che ogni persona debba incontrare ed abbracciare un’altra determinata persona che si può trovare in qualsiasi punto della piazza. Queste persone devono essere immaginate in costante e caotico movimento (diffusione e moto browniano), e sono pronte ad abbracciare qualsiasi altra persona che sia loro simpatica (la termodinamica alla base delle reazioni chimiche), non raggiungendo cosí il loro scopo che è quello di abbracciare solo una specifica persona.

Ora, nel vivente questo abbraccio avviene in ogni istante con una precisione assoluta, con l’aggra­vante che le molecole non hanno né sensi né gambe per muoversi.

Cosa fa muovere le molecole e permette loro costantemente di raggiungere il loro obiettivo?

Quando non lo raggiungono abbiamo la malattia o la morte!

Queste forze devono essere ancora di natura fisica, non dobbiamo avere fretta, troveremo il mondo eterico molto piú avanti, dopo un lungo cammino.

Durante questo lungo cammino incontreremo un personaggio straordinario: l’acqua.

L’acqua è la Cenerentola della biochimica ma la Regina della vita: lo impareremo nei prossimi articoli in cui incontreremo uno dei piú eccezionali fisici che si sono occupati di questo argomento: Emilio del Giudice.

Fabio Burigana (1. continua)

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