Euritmia

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Il Tocco per l'Armonia e la Salute

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Euritmia

Arte del movimento

L’Euritmia è un’arte del movimento fondata agli inizi del Novecento da Rudolf Steiner, il padre dell’Antroposofia.

La parola Euritmia deriva dal greco eu-rytmos e significa buon ritmo (buon fiume). Essa mira a ricondurre il ritmo dell’uomo ad una nuova armonia in sintonia con il ritmo della natura e del cosmo.

Attraverso la pratica dell’Euritmia si sperimenta il giusto ritmo, superando l’antiritmo in cui siamo costretti a vivere nella quotidianità.

Attraverso questa forma d’arte il movimento da istintivo si trasforma in movimento cosciente svelando le leggi superiori che ne sono alla base; suoni e linguaggio vengono resi visibili attraverso forme nello spazio create dall’uomo stesso. Questi stimolano processi mentali, spirituali e fisici tali da avere un impatto positivo sulla salute fisica, psichica e spirituale.

L’Euritmia è materia curriculare nelle scuole Waldorf in tutto il mondo.

I suoi campi di applicazione spaziano dal pedagogico, artistico, igienico, terapeutico, aziendale.

Uomini e topi

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Uomini e topi

cronache da Babele
Apprendiamo dai media con sorpresa che Dorian Gray, da mito, ora è realtà.

In un laboratorio d’avanguardia californiano, l’Istituto Salk, usando i protocolli e gli algoritmi della piú avanzata biogenetica hanno ringiovanito alcuni topi.

Si realizza cosí l’antico sogno dell’uomo che vorrebbe conseguire, se non l’eternità, una decente e dignitosa condizione fisica, mentale, e all’occorrenza la figura di un soma non guastato dall’età ma fresco, sano, florido e avvenente come quello di un baldo adolescente.

Per l’intervento è stata necessaria l’ingegneria genetica, mirata ad attivare nelle cavie un gruppo di quattro geni ‒ questi già scoperti dal giapponese Yamanaka Shinya ‒ elementi capaci di invertire l’iter dello sviluppo cellulare, ritardandolo quasi di vent’anni.

Però cautela, voi che rosicate da mane a sera contro le ingiustizie dell’Ordine Mondiale, delle banche che giocano a monopoli coi soldi dei vostri sudatissimi risparmi, che cercate un lavoro e non l’avete se non cedendo a mille e piú ricatti, se di voi si fa carne da macello sotto le bombe o in aule fatiscenti di scuole che dispensano sapienza volta all’inganno, piú che alla saggezza.

Non esultate troppo se in America hanno ringiovanito i roditori, poiché c’è differenza tra il formaggio in piú che riusciranno a divorare vivendo un supplemento di esistenza e il coraggio richiesto all’homo sapiens nell’impresa che tende a realizzare, dopo errori e cadute, l’Uomo nuovo.

Altro che provoloni e gorgonzola, groviera, pecorino e parmigiano!

Se l’uomo non conquista la Parola vivere un po’ piú a lungo sarà vano.

Il cronista

http://www.larchetipo.com/tag/anno-22-n-02-febbraio-2017/

Giza: una macchina dell’acqua?

Giza: una macchina dell’acqua?

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Giza: una macchina dell'acqua?

riflessioni
Non sono i fiumi a dare l’acqua potabile. Per quanto grandi e possenti, se uno vi si abbevera rischia ogni tipo di infezione. Possono fornire solo energia motrice e abbellire i panorami. Dove, come a Parigi, si è voluto utilizzare quella della Senna per uso domestico, i costosi e complessi impianti di depurazione installati hanno fatto lievitare le bollette dei parigini in maniera esorbitante. E cosí è stato altrove quando si è voluto ricavare acqua potabile dai fiumi di grande portata. L’acqua da bere viene dalle sorgenti naturali, che pescano nelle viscere della terra, o dalla pioggia, la cosiddetta acqua meteorica, ossia del cielo, raccolta in pozzi, cisterne o piscine. Oppure la si va a prendere dai monti, che sono le naturali torri dell’acqua. Ma occorre averli, i monti, a portata di mano, anzi di brocca. I Romani antichi i monti li avevano a una ventina di chilometri a Est: i Simbruini e gli Albani. Per portare in città l’acqua piovana che le alture ricevevano dal cielo e lasciavano defluire, furono costruiti acquedotti maestosi e funzionali che tuttora resistono.

Ma gli Egizi, che pure nulla avevano da invidiare ai Romani in fatto di bravura edilizia e ingegneria idraulica, montagne a portata di anfora non ne avevano, e neppure colline di un certo rilievo. La loro capitale, Menfi, era assediata dal piatto, infinito deserto rovente e annegata nel delta fangoso del Nilo, che salvo il limo, fecondatore di zolle, acqua potabile non ne dava. I pozzi e le sorgenti facilmente si intorbidavano per le infiltrazioni di limo e sabbia. Acqua per irrigare e pulire, non per bere. Le alture piú vicine erano quelle dell’Haggar, del Sudan, del Sinai. Troppo lontane. A portata di mano c’era però una modesta altura, un rilievo calcareo, poco fuori città: l’altopiano di Giza, non alto abbastanza tuttavia per operare lo scambio delle masse nuvolose in pioggia da raccogliere e far defluire in vene o far sgorgare dalle sorgenti. Ecco allora il genio egizio all’opera: tre colline piramidali a quattro facce in blocchi di arenaria. Ma occorreva produrre il meccanismo di estrazione dell’acqua dalle nubi, che difficilmente si tramutavano in abbondanti piogge. L’acqua poteva invece essere ricavata dall’inversione termica tra il calore solare e l’umidità dell’aria notturna, satura di molecole d’acqua in sospensione. Bastava farle condensare, quelle molecole, con il calore della grande insolazione diurna, e quindi farle cadere, durante il rigore notturno, scivolando lungo le facce delle piramidi per essere raccolte nelle apposite vasche scavate ai loro piedi. C’era un problema: l’arenaria, tramontato il sole, si raffreddava rapidamente perdendo il suo potere di condensazione. Venne in aiuto dei costruttori la memoria della scienza degli antichi Atlantidi, dai quali essi discendevano: ricordarono come nel continente perduto le città brillassero per il rivestimento dei tetti con lastre di un metallo, l’oricalco, ottenuto con una lega di rame e oro. Il Sinai abbondava di miniere di rame purissimo, un metallo conduttore di calore.Ricostruzione Menfi Ne rivestirono le tre piramidi dell’altopiano di Giza, dedicate a tre faraoni della IV Dinastia: Cheope, Chefren e Micerino.

Eressero a guardia dei tre mau­solei la Sfinge, simbolo della forza che protegge il Mistero.

L’acqua che ogni notte scivolava giù dalle tre piramidi in ruscelletti di pura acqua siderea si raccoglieva ai piedi del grande leone dalla testa umana che i Francesi della spedizione napoleonica si divertirono a sfregiare a cannonate. Gli archeologi hanno individuato, dai residui cal­carei del grande bacino ai piedi di ogni piramide, i vari livelli cui era arrivata l’acqua nei vari periodi storici. Le lastre di metallo e il pyramidion, l’apice d’oro, furono asportati dai mamelucchi nel XII secolo.

Una teoria, certo, quella delle grandi piramidi destinate a macchine dell’acqua. Come quella che vede nel Castel del Monte, in Puglia, otto torri dell’acqua, che oltre a vincere la siccità della regione veniva usata per riti lustrali. Federico di Svevia, Stupor mundi, vagheggiante un Regno Universale degli uomini, nel frusciare di quell’acqua indagava la perfetta misura del creato.

Elideo Tolliani

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Dalla biochimica alla vita

Dalla biochimica alla vita

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Dalla biochimica alla vita

riflessioni

I pensieri, tutti i pensieri, se dinamizzati sono strumenti per accedere alla conoscenza. Non dinamizzati, diventano gabbie da cui è molto difficile liberarsi.

Quella che sto per raccontarvi è una storia iniziata quarant’anni fa. Praticavo a quel tempo la via del Pensare, avendo conosciuto alcuni anni prima Massimo Scaligero. Oltre alla concentrazione, mi applicavo alla lettura delle opere di Scienza dello Spirito.

Stavo dando i primi esami di Medicina e fra questi c’era quello di Biochimica. Seguivo con grande entusiasmo il percorso universitario.

Lo studio dell’Anatomia, che risulta noioso alla maggior parte degli studenti, era per me avvincente. Ritrovavo nelle strutture anatomiche l’impronta delle Forze Creatrici Universali, e cosí quello che poteva avvicinarsi allo studio di una guida telefonica per me era la possibilità di accedere ad un panorama straordinario.

Questo era possibile perché, grazie allo studio dei testi fondamentali di Steiner, ero arrivato ad intuire l’esistenza del Corpo Eterico, il Corpo delle Forze Formatrici.

Eccomi quindi ad affrontare la biochimica: avevo superato con grande soddisfazione l’esame di Chimica e quindi le mie basi erano molto solide per capire il funzionamento della chimica negli organismi viventi.

Questa biochimica riusciva a spiegare in maniera ineccepibile ogni fenomeno vivente.

Non c’era fenomeno vivente che non potesse esser ridotto ad una dinamica molecolare precisa, dimostrabile e ampiamente dimostrata.

Che ruolo potevano avere le mie intuizioni sulle forze formatrici, sull’eterico?

La mia visione della vita era quindi scissa: da una parte c’era il mondo eterico e la mia via interiore, e dall’altra la biochimica, il riduzionismo ed i miei studi accademici.

Passarono trent’anni (sembra strano ma si riesce a vivere lacerati per tutti questi anni) prima di incontrare il pensiero che poteva fare da ponte a queste due concezioni.

Il grande Albert Szent-Györgyi, uno dei padri della biochimica, oltre che premio Nobel, mi ha donato, attraverso uno dei suoi libri, questo pensiero: adesso che sappiamo quali sono le reazioni chimiche che avvengono nel vivente, dobbiamo risolvere il problema centrale della vita: “come fanno le molecole ad incontrarsi?”.

Già, questo è il problema centrale della vita, e quindi anche della biochimica, ma nessuno ve lo dice.

La scoperta del DNA, per quanto importante, non ci può avvicinare al mistero della Vita.

Il DNA è solo una molecola. Il processo della sintesi delle proteine, con la trascrizione del DNA in RNA e la traduzione nelle proteine, è solo la descrizione di un processo, ma nulla ci dice della forza che muove queste proteine:
forza che fa incontrare le molecole giuste nel momento giusto.

Normalmente le ragioni che portano alle reazioni chimiche nel vivente vengono spiegate con le leggi di diffusione, di moto browniano e di termodinamica.

Queste spiegazioni sono incompatibili con la velocità e la precisione con cui avvengono le reazioni chimiche nel vivente.

In genere offro questa immagine: Piazza Unità di Trieste può contenere quarantamila persone, immaginatevi che ogni persona debba incontrare ed abbracciare un’altra determinata persona che si può trovare in qualsiasi punto della piazza. Queste persone devono essere immaginate in costante e caotico movimento (diffusione e moto browniano), e sono pronte ad abbracciare qualsiasi altra persona che sia loro simpatica (la termodinamica alla base delle reazioni chimiche), non raggiungendo cosí il loro scopo che è quello di abbracciare solo una specifica persona.

Ora, nel vivente questo abbraccio avviene in ogni istante con una precisione assoluta, con l’aggra­vante che le molecole non hanno né sensi né gambe per muoversi.

Cosa fa muovere le molecole e permette loro costantemente di raggiungere il loro obiettivo?

Quando non lo raggiungono abbiamo la malattia o la morte!

Queste forze devono essere ancora di natura fisica, non dobbiamo avere fretta, troveremo il mondo eterico molto piú avanti, dopo un lungo cammino.

Durante questo lungo cammino incontreremo un personaggio straordinario: l’acqua.

L’acqua è la Cenerentola della biochimica ma la Regina della vita: lo impareremo nei prossimi articoli in cui incontreremo uno dei piú eccezionali fisici che si sono occupati di questo argomento: Emilio del Giudice.

Fabio Burigana (1. continua)

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